Estratto da il giornalino “I girasoli” trimestrale aprile 2015: LA STORIA INCREDIBILE

La storia incredibile:

Un giorno ti alzi come al solito, sbrighi le faccende mattutine e via al lavoro; parrebbe una giornata come tante altre. Nel rientro a casa, nella pausa del mezzogiorno, e prima di arrivare ti assale una sensazione strana mai provata, sarà un poco di stanchezza causata dal lavoro, saranno i primi caldi primaverili oppure “l’età” . Scendi dal furgone e trovi la tua famiglia sulla porta di casa ad accoglierti in maniera inconsueta. Papà, dice la più grande, dobbiamo chiederti qualcosa. Come prima risposta detta proprio in maniera sconsiderata ed incosciente dico: c’è da adottare qualcuno? Come fai a saperlo? Controbatte mia moglie. Non lo sò ho solo sparato una cavolata. Da questo momento inizia “la storia incredibile” di Alice. Dato che, il tribunale dei minori di Brescia in caso di abbandoni di bimbi con S.D. aveva come punto di riferimento il Cepim di Brescia; l’allora Presidente Elisa Amadei, ci aveva contattato per dare la nostra disponibilità come famiglia a prendere in adozione o almeno in affido un bimbo od una bimba (non si conosceva ancora il sesso), abbandonato/a dopo il parto dai suoi genitori all’ospedale di Seriate (Bg). La vita a questo/a bimba, in quel momento offre due vie, o l’affido e/o l’adozione presso una famiglia oppure l’affido ad una struttura convenzionata vedi ANFASS ecc.., con la prospettiva di una vita da vivere in una comunità. Breve riunione di famiglia anche perché al nostro interno, mai si era parlato di affidi od adozioni, e visto l’importanza della scelta, con parecchia incoscienza ma tantissimo amore visto che già dobbiamo affrontare le problematiche di Anna, decidiamo di dare la nostra disponibilità all’affido terapeutico, anche perché tutti noi genitori sappiamo quanto siano importanti per i nostri figli i primi mesi di vita per impiantare una base di recupero tonico muscolare che servirà negli anni a seguire; ma specialmente nel caso di Alice impostare un rapporto di affettività che per due mesi di ospedalizzazione gli è stato garantito (per modo di dire) in modo più o meno continuo ed in maniera puramente caritatevole del personale medico e paramedico dell’ospedale. Purtroppo ora sono scaduti i due mesi di possibilità da parte dei genitori naturali di riconoscere oppure no la propria figlia e le strutture pubbliche attraverso gli assistenti sociali devo decidere che strada intraprendere. Mattina seguente, primo incontro con l’assistente sociale del comune di Seriate che prima ci conferma il sesso e ci comunica che è una bimba, ci pone alcune domande che a noi sembrano persino avulse dal problema, confermiamo la nostra disponibilità immediata ad un affido terapeutico per le ragioni che abbiamo detto; l’assistente sociale spinge per l’adozione visto che ha un elenco di sei famiglie disponibili a questo tipo di scelta. Da parte nostra confermiamo l’esclusiva disponibilità all’affido e se nel caso ci fosse una famiglia disposta ad adottare sarebbe per l’interesse della bimba la soluzione ideale. Usciamo dall’incontro con la netta sensazione che per le strutture pubbliche, questa non sia una bimba, la quale oltre ad avere l’handicap della S.D., ed essere stata abbandonata dai genitori naturali e bisognevole di una particolare attenzione, ma sia un problema con al P maiuscola. Ritorniamo a casa convinti che il problema per quel piccolo esserino mai visto ne conosciuto sarà risolto con l’adozione presso una famiglia che gli possa offrire amore a 360 gradi. Purtroppo o per nostra fortuna ventiquattro ore dopo quell’incontro pare che le sei famiglie disposte all’adozione siano svanite come neve al sole; veniamo ricontattati dall’assistente sociale del comune di Seriate per comunicarci la loro soluzione del Problema e ci annunciano di avere deciso di affidarci quella bimba, fino a ché non troveranno una famiglia per l’adozione, così anche il loro Problema svanirà come neve al sole. Quarantotto ore dopo avere avuto la notizia dell’abbandono di questa bimba, siamo a comunicare alle nostre figlie che il giorno dopo andremo a ritirare una bambina di nome Alice (nome da noi scelto per non dire che in casa nostra sarebbe entrata un bambina senza nome). La felicità delle nostre figlie per questa notizia traspariva dai loro volti. Il giorno seguente di buon mattino ci presentiamo all’ospedale di Seriate accompagnati dall’assistente sociale e senza troppe cerimonie ci consegnano questo fagottino con inserito dentro una bimba, ci comunicano si chiama Francesca (nome datole d’ufficio dai medici dell’ospedale). Senza troppe pretese da parte delle istituzioni ci consegnano Francesca Alice senza chiederci nessun documento o farci firmare qualche documento (se ritiri un pacchetto da un corriere devi firmare il documento di trasporto). Arrivati a casa e consultatici con gli specialisti nel nostro caso con la Dott.ssa Fioretti, scopriamo che Alice, seppur seguita con l’amore possibile che un operatore sanitario nei ritagli di tempo può offrirle, ha lo sguardo perso e fisso; così iniziamo una terapia di riabilitazione concentrata sullo sguardo, a seguito del decubito persino i pochi capelli dietro la nuca che un neonato può avere, non ci sono più. Passano tre mesi e come vuole il protocollo e leggi annesse all’affido, riceviamo la visita dei carabinieri per verificare la rispondenza da quanto noi dichiarato all’assistente sociale rispetto non all’adeguatezza della famiglia per poter gestire il “fagottino” ma per verificare se il luogo di permanenza è adeguato. Altri pochi giorni e sempre per protocollo e leggi annesse, riceviamo la prima visita con cadenza che dovrebbe essere quantomeno trimestrale da parte dell’assistente sociale preposta, ma chissà perché la cadenza nel nostro caso diventa annuale con tanto di avviso prima di ogni visita in modo da non farci trovare impreparati e magari doversi riprendere il “fagottino” la quale verifica l’adeguatezza della famiglia e non verificare eventuali progressi di Alice. Naturalmente l’assistente sociale svolge il minimo indispensabile delle sue competenze, non si preoccupa e non chiede alla famiglia se può assisterla nelle difficoltà burocratiche, che come famiglia si debbono affrontare, come ad esempio gli incontri col tutore o i rapporti col tribunale (comunque rari) e giudici annessi, così altre incombenze che vanno a gravare sulla famiglia affidataria. Passano tre anni e come famiglia maturiamo la convinzione di adottare Alice, anche perché nel frattempo Lei ci vede come papà e mamma e le nostre figlie la vedono a tutti gli effetti come sorella, pensiamo che a questo punto sarebbe un atto di crudeltà disfarci dell’esserino dopo tre anni passati a darle amore e coccole. Affrontiamo così l’iter burocratico dell’adozione che per la verità nel caso di Alice, non si capisce perché, non trova ostacoli e pare imbocchi una via preferenziale senza trovare nessun cavillo ostativo alla scelta di adozione. Anzi il giudice si meraviglia solo del fatto che l’affido sia durato così a lungo, al che proviamo a spiegargli ed a raccontargli “la storia incredibile”; rimane (a parole) esterrefatto e promette indagini sull’accaduto (stiamo ancora aspettando l‘esito di tali indagini dopo 15 anni). Quando a qualcuno espongo questa “storia incredibile”, ancora adesso mi viene la pelle d’oca raccontandola. Fortunatamente la storia di Alice ha avuto un esito positivo per Lei ma anche per la nostra famiglia, anche perché tutti noi sappiamo cosa portano i nostri figli nelle nostre famiglie, a parte lo sgomento ed il disorientamento iniziale, che penso sia umanamente comprensibile, l’amore e la luce che generano, probabilmente nessun altro figlio forse riesce ad essere così efficace nell’illuminare i nostri cuori. Sinceramente io e mia moglie ci reputiamo genitori fortunati anche perché le luci che illuminano la nostra famiglia sono due, a volte bisogna portare gli occhiali da sole per riparasi da questi soli perennemente accesi, grazie figlie, anche perché la storia continua.

Pierangelo

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