Sindrome di Down

La terminologia Sindrome di Down deriva dallo scopritore John Langdon Down, medico britannico, che nel 1866, aveva collegato una certa forma intesa come debolezza mentale, ad alcune caratteristiche fisiche tipiche delle zone geografiche orientali, dandole il nome “Mongolian Idiot”; ma non era ancora nota la causa”.

Soltanto nel 1959 si iniziò a parlare di anomalia cromosomica dovuta a disordini e malformazioni strutturali, per opera di J. Lejeuene che scoprì la “Trisomia 21”.

Prima di Lejeuene, quello che si chiamava “Mongolismo”, trascinava anche nel nome residui di contemplazione di stampo antropologico come “imbecillità, idiozia, cretinismo…..”, mentre con il nuovo eponimo, seppure legato allo studioso Down, si celebra l’ascesa verso una scala dello sviluppo che “non prevede sicure ricadute verso il basso”, ma, al contrario, continue possibilità di progressione.

Non si parla più, quindi, di Sindrome di Down, ma di persone con la Sindrome di Down.

L’epidemiologia studia la diffusione delle patologie umane, descrivendone i fattori di rischio.
Ma qual è il rischio di essere affetto da una malattia cromosomica?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità un neonato su 200 corre il rischio di essere affetto da una anomalia cromosomica, e tra queste la Sindrome di Down è una delle più frequenti. Qual è il rischio della Sindrome di Down per un nascituro?
Il rischio è in funzione dell’età della madre, e passa da 1 su 1400 a 22 anni, a 1 su 625 a 33, da 1 su 200 a 40 anni.
Mediamente si può considerare 1 su 700, ma poiché fino a 2/3 dei concepimenti di feti con SD terminano con l’aborto, il rischio potenziale è più elevato.

Approfondimenti